25. LOTTARE STRENUAMENTE
Era fine gennaio ed era da un mese circa che non si parlavano più, da quel litigio.
Quando Theo aveva visto la chiamata di Daniel sul cellulare, non l’aveva richiamato e Daniel, pensando che non gli interessasse più di lui e che non avesse risposto apposta, non aveva ritentato, affondando drasticamente ancora di più.
Faceva freddo, quel giorno, e la pioggia che cadeva sembrava sarebbe scesa per sempre, per compensare le settimane di siccità fino a quel momento.
Un inverno che era tardato ad arrivare in tutta Italia, slittando il suo arrivo.
Theo si rigirò sotto il piumino di Sandro allungando pigramente la mano nel dormiveglia alla sua ricerca dopo aver risposto al messaggio di Alexis.
‘Dove sei?’ Domanda strana da parte sua, ma aveva risposto sinceramente, non aveva niente da nascondere, soprattutto a lui, uno dei pochi neutrali, nonostante risaputo grandissimo amico di Daniel.
Non ci aveva pensato quando gli aveva detto ‘Da Sandro’, perché aveva appena avuto uno splendido orgasmo fra le sue lenzuola ed ora cercava le coccole di rito.
Con lui stava andando sorprendentemente bene, era la sua oasi, sebbene con Rafa e molti altri andasse malissimo.
Anche Davide si era messo a fargli la paternale cercando di fare il capitano, lui aveva sbottato malamente di non ricoprire un ruolo che aveva per caso e che non sapeva fare.
Aveva risposto di merda, lo ammetteva, ma era stufo, stufo marcio.
Lo era anche di Rafa che osava giocare di merda come se fosse lui quello lasciato dal ragazzo.
Poteva avere colpe se dopo essere stato scaricato cercava di risalire con un ragazzo dolce e carino che per lo meno lo amava?
Sicuramente Rafa gliene avrebbe avute tante da dire, ma per fortuna la linea fredda del non parlarsi era stata la sua scelta finale. Molto meglio così.
Stava andando tutto in vacca, con la squadra. Non giocavano più bene, non ce la facevano proprio, perdevano punti a raffica e questo perché loro due non comunicavano più né a parole né in campo.
Non c’era più intesa, non si passavano la palla nemmeno per sbaglio.
Nel mezzo c’era un Sandro che cercava di dargli sostegno, cure, amore e dolcezza. I soli momenti in cui stava vagamente bene erano quelli lì con lui.
Affondare.
Si sentiva di star facendo questo, mentre nuotava alla cieca e non stava andando verso la superficie ma verso il fondo.
Si era aggrappato al primo salvagente, ma sentiva che non stava veramente bene. Era solo un pallido riflesso, perché quando ti aggrappi a qualcosa ti illudi che presto starai meglio, che hai fatto un buon passo, ma in realtà non è così. Perché non puoi pretendere che il salvagente di porti a galla se tu non nuoti per il verso giusto.
Fermo ancorato negli abissi nei quali Daniel l’aveva gettato, si infastidì nel non trovare Sandro accanto dove l’aveva lasciato.
Sandro si era alzato a chiudere una finestra socchiusa che sbatteva per il vento e la pioggia, quando era rientrato Theo l’aveva guardato mentre si aggirava nudo recuperando il cambio nuovo dai cassetti.
- Che fai? - fece infastidito Theo.
- È ora di muoverci, fra un po’ si va a Milanello. Prima dobbiamo prepararci e mangiare qualcosa.
Avevano la sessione pomeridiana, ma quella pioggia non faceva venire minimamente voglia di fare nulla se non stare sotto il caldo piumone invernale.
- Fai prima tu... - borbottò schiacciando la faccia contro il cuscino. Sandro sorrise e senza dire nulla sparì in bagno.
Lo sentì aprire il rubinetto della doccia che si aggiunse allo scroscio della pioggia esterna, un tuono irruppe potente facendolo saltare fra le coperte. Era molto vicino.
Poco dopo il campanello.
Theo uscì dal piumone per vedere se aveva sentito bene.
Un secondo suono.
- THEO, VAI TU? - chiese Sandro dal bagno dove era evidentemente sotto la doccia.
Theo sbuffò pigramente, suo malgrado sgusciò dalle lenzuola infilandosi i primi pantaloni che gli vennero sotto mano.
Di Sandro. Ma la taglia era simile e solo lui sapeva che erano suoi.
Andò a torso nudo alla porta e senza immaginare chi sarebbe potuto essere né se fosse poi stato il caso di farsi vedere lì in quelle condizioni, tutto scarmigliato ed un’aria evidente da post sesso, aprì la porta.
E lì vi rimase.
Il mondo si sconnesse, mentre il suo viso prendeva forma reale insieme ai suoi occhi azzurri dal taglio all’ingiù.
Quel giorno rispecchiavano il cielo tempestoso, grigio cupo. Era un azzurro molto sporco.
I capelli erano bagnati e gli stavano schiacciati sulla fronte. La giacca pesante era completamente bagnata, segno che era stato lì fuori un po’ prima di trovare il coraggio di suonare.
- Daniel? - mormorò esterrefatto, mentre con una scarica violenta di adrenalina Theo iniziava a tremare e ad andare nel panico.
Il buio ed il vuoto lo inghiottirono mentre perse addirittura la consistenza del proprio corpo.
Un mese.
Era un mese che non lo vedeva e non lo sentiva.
Un mese infinito di sofferenza, paranoie, pentimenti e lacrime segrete, quelle che non aveva avuto il coraggio di mostrare a Sandro per non ferirlo.
Un mese di nulla durante il quale si era amaramente pentito d’aver giocato col fuoco convinto sarebbe tornato subito strisciando da lui per rimediare al suo errore. Ed ora, finalmente, dopo tutto quello che nel frattempo era successo, era lì. Lì davanti a lui, alla porta di casa di Sandro pur di poterlo rivedere.
- Sono qua per te. - disse subito roco per mettere in chiaro le cose.
Daniel capì al volo che aveva appena fatto sesso, non ci mise molto ad immaginare nemmeno che quelli dovessero essere i pantaloni di Sandro.
Quello più di ogni cosa fu un enorme schiaffo in faccia.
Quando aveva saputo da Alexis che era da Sandro, aveva subito capito che sarebbe stata dura, ma il pensiero di Zlatan l’aveva spinto a tirare fuori le palle e fare quel che andava fatto. Se Zlatan poteva pensare al finale della sua carriera, lui poteva anche parlare con Theo e dirgli quel che doveva.
Theo, totalmente paralizzato a torso nudo e scalzo coi capelli scarmigliati, lo guardò immobile senza riuscire a proferire parola.
Aveva un freddo micidiale, ma non veniva dalla pioggia presa, bensì veniva da dentro.
Avevano fatto sesso e stavano insieme, Alexis poteva dire quel che voleva, ma per il momento le cose erano così ed era colpa sua, l’aveva spinto lui, l’aveva voluto lui.
Quel giorno si era sbagliato eccome, a dirgli che non era quello che voleva realmente e che si sbagliava, ma gli ci era voluto un po’ per trovare il coraggio di affrontare il suo madornale errore.
Ci era voluto Zlatan.
Un lampo illuminò l’ingresso davanti cui stavano ancora, la porta aperta, immobili nel pianerottolo dell’ultimo piano del palazzo di Sandro.
Il tuono proruppe poco dopo facendo tremare tutto, ma loro non distolsero gli occhi.
- Scusa se ci ho messo tanto. - fece quindi realizzando che le parole di cui non aveva avuto alba, uscivano ora da sole come i fiumi che scendevano ora dal cielo.
Le goccioline colavano per terra staccandosi dal proprio giaccone e dai capelli.
- Servivano le palle per affrontare i miei errori. Pensavo fosse tardi e che fosse meglio così, per te. Perché avevo ragione a dire che Sandro era giusto per te e sareste stati felici insieme, ma avevi ragione anche tu a dire che non mi sarebbe stato realmente bene. Credevo che ormai fosse tardi e non potessi fare nulla, ma poi ho perso interesse per il calcio e quando ho pensato che anche fare il panchinaro allo Spezia andasse bene, ho capito che stavo toccando il fondo e che anche se era tardi ed avevo sbagliato, dovevo provarci lo stesso. Sono venuto qua sapendo che ora stai con Sandro e so che hai appena scopato con lui, ma ho appena capito un’altra cosa. Non sono qua per provare a sistemare tutto. Sono qua per riuscirci.
Un lampo illuminò tutto e Daniel attese che il tuono si scaricasse per non coprirgli la voce, poi l’alzò affinché fosse chiara, senza muoversi di un solo passo.
- Sono qua per dirti che tornerò con te, ti riprenderò, sistemerò tutto. Perché ti amo, Theo. Ti amo da questa estate però non avevo il coraggio di dirtelo perché pensavo meritassi di meglio ed ho cercato di migliorare, ma non ci sono riuscito. Sono solo peggiorato ed ho fatto quella grande cazzata di allontanarti perché vedevo che non riuscivo nel mio progetto di diventare un bravo calciatore e diventare più sicuro di me e migliorare. Ma alla fine ho capito che senza di te non me ne frega niente.
Gli prese con impeto le spalle nude, Theo rabbrividì e non si mosse, spalancò gli occhi fissandolo shoccato, carico di un panico che ora era palese. Daniel poi aggiunse avvicinando il viso al suo, sicuro.
- Pensavo meritassi di meglio, essere felice, qualcuno che riuscisse ad amarti come meritavi, ma la verità è che sono io che ti amo, io che voglio renderti felice. Voglio che noi due siamo di nuovo felici insieme e non ho più dubbi, su questo. Ed avevi ragione, non volevo che tu voltassi pagina con nessuno. So che ora l’hai fatto e stai bene con lui e ti merita più di me, ma io ti voglio. Io ti amo, Theo, e non ti lascerò andare finché non ti avrò riportato con me.
Concluse premendo le labbra sulle sue, con foga, disperazione e tutto l’amore che aveva pianto amaro in quei giorni lunghissimi.
Un altro fragore irruppe dal cielo rispecchiando l’animo di Theo.
Rimase paralizzato lì davanti a lui, le sue mani sulle spalle lo elettrificarono ma le sue labbra lo uccisero.
Theo morì a quel bacio e a quelle parole di cui rimasero solo un ‘ti amo’ tuonato con potenza. Pianse come la pioggia che scendeva giù là fuori.
Pianse nel realizzare che non aveva mai smesso di amarlo né di sperare che quel momento si verificasse.
Che lui tornasse indietro e gli dicesse che aveva ragione, che non voleva andasse avanti.
Sapeva, si disse mentre aprivano le labbra venendosi incontro con le lingue in una scarica sconvolgente d’eccitazione, desiderio e amore. Sapeva che sarebbe successo; quel giorno quando aveva creato quel casino l’aveva saputo.
Per un momento alzò le mani senza sapere cosa fare. Stringerlo o respingerlo? Ma quando sentì la porta del bagno dall’altra parte della casa aprirsi, ebbe chiaro se non altro una cosa.
“Non ferirò Sandro di nuovo. Lui non centra nulla.”
La sola cosa chiara nella sua mente annebbiata; così lo prese così per le braccia e lo spinse facendo un passo indietro. Lo lasciò e si passò le dita sulle labbra che si impressero il suo sapore.
Le lacrime non volevano saperne di smettere di scendere.
- Così tanto, Dani... hai aspettato così tanto... - voleva dire che lo sapeva, lo sapeva d’aver avuto ragione, ma invece uscì quello e si rese conto che era vero.
Aveva aspettato così tanto prima di tornare.
Come aveva potuto?
Come diavolo aveva potuto aspettare così tanto, dannazione?
I loro occhi si incontrarono nuovamente e gli lesse nei suoi caos, pentimento e paura ed un insieme di cose, ma non fra tutte consapevolezza.
Era davvero finita?
- Perdonami. - sussurrò Daniel facendo un passo indietro a sua volta per non incontrare Sandro. - Ma non lascerò perdere. Ti riprenderò.
Con questo volò via come una folata di vento, la stessa che si percepiva da fuori.
Rimasto solo, venne raggiunto da Sandro il quale non aveva avuto idea di chi avesse suonato.
Quando lo vide piangere inebetito davanti alla porta ancora aperta, realizzò in un istante. Gli ci era voluto ben poco, per comprendere.
Del resto Theo piangeva solo per una persona.
- È venuto Daniel? - era un’ipotesi così azzardata ed assurda che non poteva essere vera, dopotutto per un mese non si era fatto vivo. Come poteva essere venuto addirittura lì?
Eppure lui era lì, shoccato. Sarebbe potuto essere in quelle condizioni solo dopo aver visto Daniel.
Theo si girò smarrito a fissarlo, continuando a piangere e non lo vedeva davvero. Lo sapeva che non lo vedeva.
Sandro così si fece indietro e incapace per un momento di lottare come faceva sempre, lo lasciò solo tornando al bagno da cui era uscito.
Si richiuse dentro e piegandosi sulle gambe, appoggiò la fronte sul lavandino, le proprie mani lo stringevano forsennato mentre si teneva su per non cadere.
Era finita? Era già finita?
Per un momento si sentì inghiottire da una voragine, una di quelle che si aprono improvvisamente e ti fanno cadere in un’altra dimensione, in altro tempo.
Poi aprì gli occhi di scatto alzando la testa.
No invece, perché aveva sempre saputo che sarebbe successo.
Daniel non aveva smesso di amarlo, aveva solo fatto una cazzata, perciò aveva aspettato quel momento consapevole che sarebbe arrivato, ma non si sarebbe fatto trovare impreparato e non si sarebbe messo da parte.
Amava anche lui Theo e non importava che ora Daniel cercava di rimediare al suo errore; non ne aveva fatto uno solo, ne aveva fatti tanti e Theo aveva sofferto molto, dietro a Daniel.
Con lui no, con lui non aveva sofferto e non avrebbe mai permesso soffrisse.
Lui l’aveva salvato da sé stesso e l’avrebbe reso ancora più felice. Per sempre.
Era lui che lo meritava.
Lui.
Sandro così tornò in sé con uno scatto improvviso e potente, lo stesso con cui spalancò la porta del bagno ritrovandoselo improvvisamente davanti.
Theo trattenne il fiato saltando rigido e lo guardò sconvolto, incerto, ancora perso.
Non lo toccò, si limitò a puntarlo col dito e a scandire bene con decisione le parole: - Io non mollo. Non sarò io a farmi da parte. L’ho già detto sia a te che a lui. Dovrai essere tu a scegliere. Perché questa volta non mi tolgo di mezzo. Io ti amo, Theo, e non ho dubbi. Non metterò mai niente prima di te, farò di tutto per renderti felice. Non ho dubbi su quel che provo e quel che voglio. Perciò sappi che non mi faccio da parte.
Con questo lo lasciò sfilando fuori dal bagno, perché non aveva bisogno di rintanarsi da nessuna parte. Stava benissimo, sapeva cosa voleva, aveva le idee chiare e non avrebbe mollato.
Avrebbe lottato con tutto sé stesso.
Theo, girandosi verso di lui, ebbe un déjà-vu. Aveva appena vissuto la stessa identica cosa con Daniel.
Di sicuro avrebbe pensato di affrontare molte cose, in quel periodo nero e confuso, ma non quella.
Era un desiderio di ogni persona con un enorme ego essere conteso da due splendidi ragazzi, ma esserci dentro gli faceva capire che era un desiderio proprio di merda.
“Praticamente sono fregato! Adesso dovrò essere io quello che farà piangere uno dei due. Grande Theo. Proprio bravo. Come cazzo ti sei ficcato in questo casino? PUTTANA VACCA!”
Sarebbe stato ovviamente più facile se fosse stato a Milano anche lui, nella stessa squadra, invece che a tre ore di distanza.
Ma non aveva importanza, ce l’avrebbe fatta comunque.
Preso da un sacro fuoco, Daniel iniziò come prima cosa dal calcio. Ricominciò ad allenarsi con più convinzione e dedizione, passando più tempo anche in palestra e a rinforzarsi nella speranza di poter così convincere mister Gotti che ci teneva e che non era vero quel che aveva detto su di lui, che non si impegnava e che non era un guerriero. Lo era, lo doveva diventare, lo sarebbe diventato.
Ben presto purtroppo si rese conto che comunque avrebbe potuto dire e fare quel che voleva, anche dare enormi risultati calcistici ed avere esplosioni immense di talento evidente, ma non sarebbe servito a niente in quanto ormai il mister l’aveva catalogato come il raccomandato di turno che non era lì per meriti reali.
Realizzarlo con certezza in uno scambio verbale che aveva lasciato poco all’interpretazione, fu un duro colpo, ma lo incassò con diplomazia e maturità.
- Sappiamo tutti perché sei qua, Daniel. Visto che sei stato sincero, lo sarò anche io.
Aveva esordito chiedendogli perché non riusciva a convincerlo, che consigli aveva per lui.
Aveva da sempre avuto la granitica convinzione di non piacergli e basta, per questo non si era fatto avanti. Per non dargli l’idea del ragazzo viziato che si lagnava.
Però a quel punto aveva capito di non aver nulla da perdere, così l’aveva affrontato con la più completa serenità.
A quel punto lui era stato sincero senza dirglielo chiaramente.
Daniel l’aveva guardato meravigliato, shoccato per un momento che intendesse realmente quello.
- Perciò posso fare quel che voglio, sono segnato dal mio cognome? - chiese più esplicitamente, a testa alta ed aria di improvvisa sfida. Di chi capisce che tanto era inutile tentare di stare al proprio posto.
Gotti si era solo stretto nelle spalle.
- L’hai detto tu.
Ma era un sì.
Sentendolo, Daniel se ne era andato scuotendo la testa, ma non aveva avuto scatti di rabbia di alcun tipo, non aveva inveito né nulla.
Era tornato ad allenarsi per conto suo, ridendo da solo dell’assurdità della situazione e della sfacciataggine con la quale glielo aveva praticamente detto guardandolo negli occhi.
“Come prima esperienza fuori dal Milan è stata un autentico disastro...” pensò.
Una volta raggiunto lo spogliatoio ormai vuoto, prese subito il telefono e scrisse a Theo così come niente fosse.
‘Avevo ragione io, a Gotti non piaccio perché sono figlio di mio padre! Posso fare quel cazzo che mi pare, ma non lo convincerò mai!’
Era come riprendere da dove si erano interrotti, come nulla fosse.
I discorsi fatti prima del mondiale e della pausa, prima del loro botto.
Poi era andato a farsi la doccia ed uscito si era guardato allo specchio, tutto bagnato e spettinato. Gli occhi azzurri spiccavano più del solito per la doccia bollente. Pensando che a Theo sarebbe piaciuto in quelle vesti, con quel filo di barba che finalmente cresceva decente sul viso, si fece un selfie e glielo inviò. Non mostrò la parte inferiore del suo corpo, intendendo comunque che era appena uscito dalla doccia e che quindi era nudo.
‘Che dici? Barba sì o no?’
Ovviamente non era stata la barba il motivo per cui gli aveva mandato la foto.
Sorrise malizioso vedendo che al secondo messaggio così come niente fosse, Theo finalmente si mise a rispondergli.
Ci mise molto, lo vide scrivere per almeno un intero minuto e pensando che gli stesse scrivendo un papiro pieno di rimproveri in mille lingue diverse, rimase stupito quando gli inviò solo un semplice ‘Con.’
Daniel scoppiò a ridere sputando l’acqua che aveva in bocca. Per fortuna era solo, perciò non fece la doccia a nessuno.
Alla fine prese il telefono che aveva appoggiato accanto mentre si asciugava e beveva, controllando con l’occhio sempre lo schermo.
‘E per il mister?’
Theo rispose quasi subito.
‘È solo un pezzo di merda, lascialo perdere. Prima o poi lo mandano via.’
Daniel fece un ampio sorriso sentendosi euforico come non gli capitava dalla partita contro il Milan, quando aveva giocato dal primo minuto segnando un goal.
Fu così che semplicemente ripresero come niente fosse successo. Come se nessun dramma li avesse demoliti facendoli lasciare.
“Ne parleremo quando sarà pronto. Ma già che mi risponde così mi fa capire che ha voglia di riprendere, anche se probabilmente non sa da dove iniziare a parlarne. Così non lo fa. Mi chiedo come stia andando con Sandro. Cazzo, poi mi dispiace per lui. Dovrei forse parlargli o adotterò il metodo Theo e aspetterò che le cose accadano da sole?”
Ovviamente optò per la seconda idea, consapevole che tanto presto o tardi uno fra lui e Sandro si sarebbe stufato ed avrebbe preso il toro per le corna.
Il toro, naturalmente, era Theo.