26. GENITORE DUE
Per poco non gli era venuto un colpo leggendo il suo messaggio. Peggio era stato quando aveva visto la foto. Nudo (chiaramente), bagnato, appena uscito dalla doccia. I capelli appiccicati alla fronte in disordine, gli occhi di un azzurro intenso e quel filo di barba che gli stava a dir poco d’incanto.
“Piccolo bastardo puttana che non sei altro!”
Non avrebbe mai potuto insultare mamma Adriana definendolo ‘figlio di puttana’, lei era sacra quasi quanto Paolo, perciò aveva optato per definire lui come una puttana anche se sapeva non era andato con nessun altro. Anzi, forse era più puttana lui in effetti.
Theo si sentì attraversare da un’ondata pericolosa d’eccitazione, subito riversata nelle parti basse avvolte solo da un’asciugamano alla vita. Ovviamente era appena uscito dalla doccia anche lui, finendo gli allenamenti extra con Sandro.
Lanciò subito un’occhiata ansiosa al suo compagno e vide che era seduto col cellulare in mano a leggere dei messaggi e non lo calcolava. Il cuore in gola, l’eccitazione nella consapevolezza che stava facendo qualcosa che non andava bene ma che non poteva evitare. Improvvisamente gli piaceva essere la principessa contesa.
Rispose subito, poi la cancellò.
Era ‘sei troppo gnocco’.
Allora tornò a scrivere.
‘Stai veramente bene’
E cancellò anche quella.
‘Che diavolo fai, perché mi mandi ste foto? E poi mi scrivi così come niente dopo tutto quel che è successo? Ti aspetti che risponda come nulla?’
Ma cancellò ancora. Non voleva discutere per messaggio. In generale con lui non voleva più discutere, punto. Era sempre sfinente e non avevano nemmeno ancora fatto pace.
A quel punto si rese conto di cosa stava succedendo fra loro, ovvero cominciavano a familiarizzare col concetto di far pace. Si sentì un’autentica merda realizzandolo, perciò si limitò ad un rigido ed impacciatissimo ‘con’ riferito alla foto con rispettiva domanda ‘con o senza barba?’, spedito di fretta prima che Sandro riportasse la sua attenzione su di lui. Il cuore sempre più veloce, l’eccitazione alle stelle. Non un’eccitazione esclusivamente sessuale, ma anche primitiva. Qualcosa di strano. Era felice?
Dopo di quello rispose al resto sul suo Mister e anche quella fu molto spontaneo, così come se non si fossero mai interrotti per un apocalisse da fine del mondo.
Era stato terribilmente bello tornare a parlare con lui in quel modo, come niente fosse.
Intossicante.
Splendido.
Un sogno puro.
Oscurò subito lo schermo del cellulare che per fortuna si poteva aprire solo con la sua impronta. E sempre per fortuna non aveva nemmeno i messaggi che apparivano sul display in stand-by.
“Sei un idiota, Theo! Non devi nascondergli una cosa simile. Non è successo niente con Daniel e comunque non so nemmeno cosa siamo io e Sandro. Ecco, perché non lo chiarisci prima di fare un altro dei tuoi casini? Ha detto che non mollerà, ma credo si aspettino entrambi una mia scelta che non può avvenire così su due piedi. Esattamente cosa pensano che faccia? Che stia fermo e zitto senza fare nulla con nessuno di loro, nemmeno parlare?”
Guardò disperato Sandro il quale come se percepisse il suo stato d’animo in subbuglio, alzò la testa dal telefono e bagnato come un pulcino per la doccia appena fatta, i capelli neri e lunghi scompigliati sugli occhi, gli sorrise abbattuto. Era da quel giorno che non sorrideva più come prima, ma era inevitabile. Se la sentiva, del resto, ormai lo conosceva bene.
La sua tristezza evidente fu come una pugnalata al cuore.
“Oddio già lo sa! In qualche modo lo sa e sta immaginando la nostra fine ed il suo dolore infinito! Oddio ma io non voglio farlo piangere!”
Dopo aver controllato se Daniel gli aveva risposto, lanciò di nuovo il telefono nel borsone e si buttò su di lui, gli prese la faccia fra le mani e gli scoccò un sonoro bacio sulla bocca.
Si erano fermati per i consueti esercizi d’intesa in campo, sebbene avrebbe dovuto farli con Rafa visto che ormai era con lui che non c’era più intesa, ma il mister non diceva nulla, così avevano deciso di continuare per conto loro.
Sandro sorrise un po’ meglio, ma rimase appannato.
Lo sentiva già, ma sapeva non avrebbe lasciato per primo, Sandro combatteva fino all’ultimo.
“Sono io che devo decidere qualcosa, in questo modo non andrò da nessuna parte. Non posso rimanere fermo qua senza fare nulla e pretendere che le cose accadano da sole. Non si risolverà da sé sto disastro. Specie perché l’ho procurato io!”
Tanto per cambiare.
Ma soluzioni pratiche non le trovò, se non lasciare che Sandro, alzatosi, lo prendesse dietro il collo, lo girasse mettendoselo di schiena e lo spingesse a piegarsi sulla panchina. Gli afferrò l’asciugamano e lo strattonò togliendoglielo con quel suo modo focoso e passionale che gli dava sempre alla testa e gli piaceva da matti. Quella volta, però, c’era anche un pizzico di rabbia. Lo sentiva mentre si occupava subito del suo didietro senza complimenti, dolcezze e delicatezze.
Theo sorrise gemendo immediatamente alla sua lingua e poi al suo dito. Quando lo penetrò con impazienza e voglia, quasi come lo rimproverasse, come se sapesse che aveva appena fatto qualcosa che non andava bene, Theo dimenticò tutto.
Sarebbe stato difficile ormai fare a meno di quello, gli piaceva da impazzire. Ma non era la sola cosa che l’avrebbe fatto impazzire.
La stasi sarebbe andata avanti a lungo se qualcuno non si fosse messo in mezzo in qualche modo, obbligandoli a prendere una decisione.
Quel qualcuno fu il mister che mettendosi in mezzo per far fare pace a Rafa e Theo, li fece invece litigare ancora di più senza arrivare a nessuna soluzione se non ad una punizione pre annunciata in caso di mancata pace.
Quella pace fu mancata, così nonostante il derby, Pioli decise di punirli. Non forse la scelta migliore, più che altro per il tempismo.
Non erano in un buon momento visti i recenti risultati disastrosi, un traumatico 5 a 2 contro il Sassuolo, preceduto da un altro per nulla edificante 4 a 0 contro la Lazio.
Dire che erano in caduta libera era poco, ma lui decise comunque di usare il pugno di ferro, cosa che non aveva mai fatto e che non era nel suo DNA. Nel non saperlo usare, lo usò male. Non per il fatto di doverli punire per la spaccatura che insistevano a mantenere, bensì per la partita scelta.
Il derby non era mai un buon momento per punire qualcuno, specie se si doveva vincere assolutamente. Cosa che non fecero.
Rafa non fu schierato titolare. La scusa ufficiale fu il cambio modulo nel quale avevano bisogno di due punte e non di un’ala. Al contrario Theo aveva dovuto schierarlo per forza in quanto il 3-5-2 si basava sul lavoro dei terzini che giocavano avanzati a centrocampo, senza di lui non avrebbero avuto speranza.
Ma lo punì togliendogli la fascia da capitano.
Quando Davide uscì, infatti, gli ordinò di dare la fascia a Simon nonostante il vice era Theo. Simon tornava titolare dopo tre partite in panchina e ben di più da assente totale fra infortuni e mondiale.
Non certo per quello, la decisione di dare la fascia a lui invece che a Theo, come da gerarchie prestabilite.
- Che idiota. Pensa che mi freghi qualcosa della fascia da capitano? Cosa pensa, che sia una punizione? È un’umiliazione che mi ha solo caricato di nervoso in una partita che dovevamo vincere. Mi ha dato pensieri che stasera non mi servivano, ma adesso vado a dirglielo. Bravo! È così che si risolvono i problemi, aumentandone! Perché se c’è tensione, la alzi invece che mettere serenità! Complimenti!
Stava andando dritto dal mister per dirgliene quattro, furibondo com’era. Borbottava a denti stretti e furente da solo uscendo dal campo subito dopo il triplice fischio finale che dettava l’ennesima sconfitta.
Totalmente intenzionato ad andare a litigare con Pioli, venne bloccato dalla presa sicura di una mano sul collo da dietro. Si tese come una molla e stava per mandare a cagare chiunque fosse, ma quando vide che era Simon si lasciò abbracciare senza respingerlo né dire nulla. Dopo l’abbraccio consolatorio con un: - Dai forza. - si mise accanto e sempre tenendogli la mano sulla nuca, camminò con lui parlandogli deciso ma calmo all’orecchio. Theo rimase per un breve istante sorpreso, Simon non sapeva assolutamente nulla di quel che era successo, ma sembrava saperlo in qualche modo comunque. Perché lui era Simon, Genitore Due, e lui sapeva sempre tutto.
- Non c’entra niente il mister, sai bene che ti restituirà la fascia quando ti toccherà, ma non sa dove sbattere la testa. - disse sicuro di sé, dando forza alle sue parole senza togliere la mano dal suo viso e dal suo collo. Aveva ragione, Theo lo sapeva, ma voleva comunque andare a dirgli di tutto per il tempismo avuto nel dar loro una lezione. Tuttavia, nonostante fosse contrario, iniziò a cambiare idea sull’andare ad insultarlo.
- No, ma è un incapace che non sa gestire le questioni in modo normale! Cos’è sto modo di merda? Questo mi ha innervosito e basta! Anche Rafa, l’ha messo alla fine. Cos’era, una punizione per lui o per la squadra? È un’incapace! Queste cose si fanno al momento giusto!
Simon continuò a rispondergli e tenerlo fisicamente a sé, accompagnandolo intanto verso il tunnel fuori dal campo, facendo attenzione a non andare verso il mister.
- Lo so, ma non è con lui che sei veramente arrabbiato, non è lui il problema principale ora. Lascia perdere.
Quest’ultima cosa a Theo parve più un ordine, di quelli che non avrebbe ammesso repliche e che non potevi contravvenire. Non era stato minaccioso, ma Theo capiva il tono ed il modo con cui diceva certe cose, ormai.
Continuò così a seguirlo più mite e calmo ed alla fine sospirò mentre il proprio braccio era passato intorno alla sua vita come ad accettare non solo quella specie di ordine, ma anche la calma che gli aveva magicamente trasmesso.
Arrivati nei pressi degli spogliatoi, si fermarono ed alzò la testa rendendosi conto con stupore che nonostante la profonda frustrazione appena provata e la voglia di dare testate a tutti, ora stava assurdamente meglio.
Così prima di passare la soglia e immergersi nel caos nel quale aveva intenzione di ignorare tutti tranne forse solo Sandro, guardò Simon, gli sorrise stanco e gli baciò spontaneo la guancia con gratitudine sincera.
- Grazie Genitore Due! Ci sei mancato! Non abbandonarci mai più!
Simon sorrise e lo lasciò andare senza rispondere dandogli uno schiaffo alla nuca.
Non aveva idea che quello era solo l’inizio per Genitore Due di risolvere le cose.
Era ora di tornare a prendere quella famiglia nelle sue mani e fare il genitore sul serio.
Era proprio ora.
La tensione in generale si tagliava col coltello ed era evidente per tutti, ma per Simon in particolare. Era come tornare indietro di tre anni, quando lui e Zlatan erano arrivati ed avevano trovato una squadra inesistente e piena di problemi.
“Non possiamo allontanarci un istante che succede il putiferio! Mi sono staccato per vedere di questioni personali di vario genere, pensando che ormai le cose fossero a posto, che la squadra stesse bene e fosse nella giusta direzione. Dovevano solo continuare come avevano fatto fino a quel momento. Solo quello. Ed invece? Che diavolo è successo in un paio di mesi che non gli sono stato dietro, né io né Zlatan?”
Non lo faceva di proposito ad avere pensieri da vero genitore, per lui quello era semplicemente fare il capitano.
Si era dovuto occupare della propria salute e della nazionale, al ritorno dal mondiale aveva dovuto affrontare un altro infortunio, per fortuna non grave, e la depressione di Zlatan.
Sminuirla definendola semplicemente ‘depressione’ era anche piuttosto riduttivo.
Adesso che sarebbe tornato ad allenarsi a Milanello presumibilmente col gruppo e che lui era tornato anche a giocare da titolare come prima dei problemi di salute, all’alba di febbraio 2023, si sentiva in grado di riprendere il suo ruolo all’interno del gruppo.
Ma, tornando a considerarli e togliendo quindi il muro che si era eretto, aveva realizzato che era andato tutto in malora.
Ci mise molto poco a capire il fulcro principale del problema, sia a livello calcistico che di spogliatoio.
Aveva iniziato a riprendere il ruolo la partita precedente a quella, quando aveva visto Rafa particolarmente a pezzi. Di lui si vedeva subito, quando aveva problemi. Non faceva chiasso, non correva, non si esaltava, non rideva.
L’aveva visto fermo con le mani ai fianchi e la testa china, immobile, come schiacciato da qualcosa che non riusciva a gestire.
Era stato lì che aveva iniziato a realizzare di dover tornare, che era proprio ora.
Tornare veramente.
Così l’aveva consolato abbracciandolo e dandogli il sostegno che un tempo non gli aveva mai fatto mancare.
Quella sera l’aveva fatto con Theo, non per un progetto mentale creato in precedenza in seguito ad un analisi. Semplicemente aveva deciso che tornando titolare, poteva tornare a fare il capitano, o genitore due come lo chiamavano i ragazzi.
Così gli era venuto spontaneo prendere il secondo problema più evidente e cercare di tirarlo su.
Uscendo dagli spogliatoi dopo aver provato un discorso improvvisato di incoraggiamento a tutta la squadra dicendo che si vedevano i progressi, ma che bisognava farne molti di più e continuare a lavorare sodo, Simon fissò gelido e attento i due famosi problemi che aveva individuato in pochissimo tempo.
Rafa e Theo camminavano alla stessa identica maniera, ma ben distanti.
Uno accanto a Sandro, l’altro a Brahim, con svariati gruppi di persone nel mezzo che dovevano fare da separatori.
Gli occhi azzurri divennero due lame di ghiaccio affilate e pericolose e non si staccarono fino a che non furono più visibili dentro il pullman.
Una volta che furono sopra, Simon salì per ultimo e individuato il primo dei due in ordine di sedili partendo da davanti, si fermò in piedi vicino a lui, poi indicò a Sandro con un sorriso gentile se poteva lasciargli il posto.
Sandro lo guardò sorpreso, come se avesse un’apparizione. Era pressapoco il modo in cui l’aveva sempre guardato, ma ad un certo punto aveva smesso di considerarlo come la Madonna, dal momento che Zlatan lo vedevano come Gesù (o Dio come amava chiamarsi lui).
Ora quello sguardo tornò e vide la speranza caricarglisi. Fece un sorriso di gratitudine e si alzò senza dire nulla.
Sentendo che si toglieva, Theo girò lo sguardo che aveva incollato al finestrino accanto cui era seduto in attesa di partire da San Siro.
Non sarebbe stato un tragitto lungo, ma sarebbe stato il necessario per quel che gli serviva.
Theo si sentì subito a disagio, con lui accanto. Era come ritrovarsi insieme a suo padre dopo una lunga assenza durante la quale lui aveva fatto un sacco di disastri.
Aveva pensato di scamparla, ma vederlo lì gli fece capire che era giunto al capolinea e che era ora di fare i conti con i propri errori, tutti quanti.
“È ora di smettere di aspettare che i casini si risolvano da soli...”
Simon non avrebbe nemmeno avuto bisogno di dirgli nulla, Theo aveva già capito. Ma non perché bisognoso di sentirselo dire od obbligato a fare qualcosa. Semplicemente la sua presenza era come un segnale divino grande come una casa.
Come se dall’alto qualcuno di onnipotente si scomodasse per dirgli cosa diavolo doveva fare. Se succedeva, anche se eri un miscredente, non ti opponevi facendo finta di nulla.
Tu facevi. Facevi tutto quel che lui ti diceva.
Nel caso di Simon non avrebbe avuto bisogno di parlare, ma lo fece comunque.
- Si può sapere che è successo con Rafa? - chiese in modo molto diretto ed estremamente calmo e sereno.
Theo sentendo la sua tranquillità strinse le labbra, sospirò e semplicemente si arrese togliendo ogni difesa e scudo.
Parlò con lui come se non vedesse effettivamente l’ora.
Iniziò a parlare Daniel spiegandogli com’erano andate le cose, come si erano complicate quando avevano messo in mezzo Sandro ed ora come si era creata quella voragine con Rafa.
Concluse con l’atto finale, il ritorno in grande stile di Daniel.
Il colpo di scena ormai inaspettato.
Mentre parlava, senza inserire troppi dettagli considerando il tragitto non molto lungo da San Siro a Milanello, Theo si sentiva via via sempre più libero e gli parve come d’aver avuto sempre bisogno di quello e di averlo capito solo in quel momento.
Tardi, forse. Sarebbe bastato cercarlo prima, a dicembre.
Sarebbe bastato quello, ma naturalmente un treno che correva come un matto senza guardare niente e nessuno, dritto per il suo binario, non poteva considerare l’idea di fermarsi di tanto in tanto.
Nel farlo, capì dove aveva effettivamente sbagliato.
- Non avrei dovuto pretendere di affrontare questo casino da solo... - mormorò infine abbattuto e più depresso che mai, strofinandosi gli occhi che gli bruciavano.
Si vergognava di sé, specie perché lì accanto aveva Simon. Sapeva d’averlo deluso, che lo disapprovava e non sopportava l’idea.
Averlo dovuto dire ad alta voce, gli aveva fatto sentire con le proprie orecchie quanto grandi erano state le cazzate che aveva fatto.
- E comunque non dovevo andare con Sandro, è quello che ho sbagliato, ma se non l’avessi fatto Daniel non avrebbe capito che sbagliava e non sarebbe tornato. È solo che ci ha messo troppo ed ora io non voglio ferire Sandro... e poi sto bene con lui. Non so che cazzo devo fare e nel frattempo sto coglione mi fa il muso come se fossero cazzi suoi!
Il pullman si fermò facendogli capire di essere arrivati al capolinea a Milanello, dove avrebbero recuperato le loro auto per tornare ognuno a casa propria.
C’era un gran silenzio, quella sera, lì intorno. Spesso c’era caos e chiacchiericci vari, ma quella sera tutti sussurravano col rispettivo compagno di corsa, con un senso di colpa che pareva in crescita.
Nessuno vedeva i lati positivi, ma Simon sembrava riuscirci ed il fatto che lui negli spogliatoi avesse parlato di buoni punti di partenza, il fatto che lui ci credesse e li vedesse, era quello il vero ‘re-start’.
Nessuno lo diceva, ma cominciavano lentamente a crederci di nuovo. Piano piano.
Fattore psicologico niente di più, ma proprio quello che li aveva abbattuti in quel mese osceno.
In ogni caso solo l’inizio della cura di Genitore Due.
Note: la situazione calcistica è presa dalla realtà, in quel periodo le cose andavano come le ho descritte e sembrava che fra Theo e Rafa ci fossero problemi ma non sono mai stati confermati, solo che ho notato che una partita Simon ha coccolato Rafa, quella dopo Theo (che coincideva proprio con quella di cui ho parlato nella fic dove Pioli ha 'punito' i due pargoli) e poi come per magia le volte dopo sono andati d'amore e d'accordo come al solito, giocando pure meglio. Perciò io che scrivo fic per passione, non potevo esimermi dal farmi le mie storie. Amo tantissimo Simon, mi manca da morire. A parte questo, alla prossima. Baci Akane