30. CRESCITA

percorso

Gli aveva chiesto tempo per sistemare le cose con Sandro come si doveva, com’era giusto che facesse, ma la verità era che non aveva la più pallida idea di come farlo.
Aveva le idee chiare solo sul fatto che a prescindere dal tornare con Daniel, avrebbe comunque messo fine alla relazione con lui, o qualunque cosa fosse ciò che avevano. 
Un legame, forse. 
A maggior ragione ora che era tornato con Daniel, doveva farlo tassativamente. 
Il suo ragazzo non gli aveva messo fretta né pressione, quel giorno non fecero nemmeno l’amore e si limitarono a baciarsi e parlare, quasi come una forma di rispetto per il loro compagno di squadra o per non avere la sua ombra addosso nel farlo. 
Però la fretta ce l’aveva Theo; più che fretta, sacro terrore. 
Pensando che finora facendo da solo aveva fatto solo disastri ovunque, quella volta decise di fermarsi e non solo pensarci, ma chiedere addirittura consiglio, una cosa che non aveva mai fatto.
Non al solito Brahim buono a sostenerlo e ad incitarlo in altri guai maggiori.
Andò dritto alla fonte di eterna saggezza. 
Simon, alias Genitore Due. 
Con l’Uno non aveva tantissima confidenza, era più Daniel ad averla con lui; senza parlarne né stabilirlo, si erano spartiti i genitori equamente. 
Ognuno la sua competenza.
Se era da spronare o sgridare qualcuno, Zlatan era il migliore, ma se bisognava consigliare o sostenere allora Simon non aveva rivali. 
Fu così che prima di rivedere Sandro, cosa che aveva evitato fino a che aveva potuto, piombò in casa del suddetto Genitore Due. 
Avendo allenamento al mattino, gli era praticamente capitato in casa all’alba e naturalmente non l’aveva avvertito, ma ultimamente stava diventando un vizio piombare in casa della gente di mattina e svegliarla con la colazione. 
Simon aprì coi capelli sciolti e scompigliati piegati male per via del fatto che li legava sempre, perciò aveva l’aria ancor più da spaventapasseri, se fosse stato solo per i capelli. 
Peccato che il resto di spaventoso avesse ben poco se non forse lo sguardo assonnato e congelante. 
Rimase appoggiato alla porta con gli occhi mezzi chiusi a cercare di capire perché qualcuno avesse suonato da lui alle sette di mattina. 
Aveva un delizioso pigiama nero, cosa che Theo guardò con delusione. 
“Perchè non dorme mezzo nudo come fanno tutti?”
Ma non lo disse, alzò il sacchetto con le brioche, uno bello grande. 
- Non ho capito bene in quanti siete in casa, nel dubbio ho preso un bel sacchetto pieno! 
Sapeva che viveva a casa con la famiglia e che aveva dei figli. 
Simon aprì e chiuse gli occhi e guardò l’orologio appeso in salotto, strabuzzò gli occhi ancora una volta e focalizzò meglio, poi tornò a fissare Theo molto torvo. 
- Sai quei dieci minuti che avevi ancora per dormire prima di svegliare la mandria e ritrovarti nell’inferno? - Theo annuì con un sorriso tirato: - Me li hai tolti! - concluse laconico.
Tuttavia all fine sospirò, alzò gli occhi al cielo e si fece da parte facendolo entrare. 
- Stanno per svegliasi per la scuola, in bagno c’è mia moglie che si prepara. 
Abbiamo circa 15 minuti prima dell’invasione barbarica! - commentò andando in cucina. Stranamente non sembrava tanto stupito della sua presenza lì, quanto infastidito. 
- Ma non avevi detto dieci minuti? 
- Prima della mia sveglia. Mi alzo sempre cinque minuti prima degli altri per godermi il silenzio. Mia moglie si alza venti minuti prima perché vuole prepararsi bene e con calma e ci sta un po’. - spiegò controllando la moka grande che Elina aveva fatto per entrambi. Faceva quella da sei nonostante fossero in due, entrambi abituati a bere tanto caffè nonostante fosse quello in moka, una delle cose che adoravano dell’Italia. 
- Beh, ma io ho effettivamente preso brioche per una mandria... - gli fece notare Theo aprendo il sacchetto in mezzo al tavolo dove si era seduto. 
Simon gli mise una tazza di caffè davanti ed un’altra la tenne per sé, si sedette su una delle sedie e appoggiando la faccia alla mano prese una brioche al cioccolato e l’addentò sporcandosi deliziosamente il labbro. 
Theo glielo guardò provando l’istinto insano di leccarglielo, memore di quei bei baci rubati a quegli stupidi giochi adolescenziali. 
Aveva proprio sonno, pensò sorridendo divertito prendendo una brioche anche lui e mescolando il caffè. 
- Non mi chiedi perché sono qua? - fece sorpreso che non l’avesse già fatto. Simon scosse il capo e alzò le spalle. 
- Mi chiedo perché non sei venuto prima, pezzo di cretino! - borbottò con la bocca piena, ancora assonnato. Theo ridacchiò e distolse lo sguardo imbarazzato. 
- Beh, sai, mi piace buttarmi impulsivamente a capofitto senza riflettere, figurati se vengo a chiedere consiglio... 
Simon alzò allucinato gli occhi al cielo senza nascondere quel che pensava di lui. 
- Lo so. - disse con disapprovazione marcata. - Ma mi chiedevo perché non sei venuto dopo che hai capito d’aver fatto un casino! 
- Perché ci ho messo un po’ a capire che era un casino! 
Per lui aveva senso e Simon decise di smettere di provare a fargli capire, bevve un po’ di caffè e sembrò riprendersi. 
- Per le prossime volte. 
- Che spero non ci siano... - rispose convinto Theo. 
- Che ci saranno di sicuro... - continuò severo Simon, l’altro fece un broncio. - Vieni subito anche se non credi d’aver fatto nulla. E se puoi, magari, vieni prima! - bevve ancora e finalmente si raddrizzò sulla sedia, appoggiando il gomito sul tavolo e tenendo su la testa da sola, incassata nel collo, ma comunque su stava. - Che hai combinato stavolta? In un giorno che diavolo potrai aver fatto? So che hai fatto pace con Rafa, me l’ha detto... 
Theo si sentiva davvero come suo figlio, quello debosciato, ma si rese conto che se lo meritava.
- No è qualcosa che devo fare e non so come... se ho imparato qualcosa da questo mese incasinato, è che da solo è meglio che non faccio niente... 
Simon finalmente rise e vedendo che il suo volto si apriva in uno splendido sorriso seppure assonnato, lo riempì di gioia ed orgoglio. 

- Di che si tratta? - chiese quindi calmo, finendo la brioche. 
- Sono tornato con Daniel, circa. Ma a prescindere da questo avevo deciso di chiudere con Sandro perché lui mi ama ed io no, gli voglio un bene dell’anima, è la persona migliore del mondo e gli devo tutto, per questo mese. Ma è giusto chiudere, solo che... non so come fare... ho chiesto a Dani del tempo... 
Simon lo fissò stralunato mettendolo a fuoco per la prima volta. 
Notò solo ora che non aveva nessun taglio decente in testa, non alla moda come suo solito. I capelli erano del suo colore naturale. Nero. 
- Stai proprio male, eh? 
- Stavo! - si affrettò a spiegare Theo. Simon piegò il capo di lato. 
- I tuoi capelli dicono il contrario... 
Theo se li toccò realizzando solo ora di averli trascurati, cosa che faceva solo quando stava tanto male. 
- Sono stato davvero di merda, dal mondiale in poi per me è stata una caduta libera senza paracadute. Ma adesso sto meglio, sto risolvendo le cose e... e voglio fare questa cosa con Sandro, è importante, ma non so come farla. Non voglio farlo soffrire... 
Simon lo lasciò parlare e l’ascoltò mentre finivano entrambi il caffè, sentì i rumori nella zona notte dove Elina era andata presumibilmente a svegliare i due figli. Ci sarebbe voluto un po’, era sempre difficile. 
- Sii sincero e fallo subito. Non rimandare, ormai che l’hai deciso lo deve sapere immediatamente. Ma conoscendolo, già lo saprà. 
Theo annuì chinando il capo, sentendosi in colpa. 
- Lo sa, certo che lo sa, ma dobbiamo parlarne bene, ieri gli ho dato l’anticipo, ma è ancora da chiudere. 
Simon si fece un quadro abbastanza chiaro della situazione e sospirando paterno si alzò stiracchiandosi, si passò le mani fra i capelli sconvolti e fece una smorfia infastidita, poi andò da Theo e gli carezzò la nuca dolcemente, come aveva già fatto la sera del derby. 
- Tagliati i capelli e tingiteli, sei veramente osceno! 
Theo inarcò un sopracciglio deluso e sorpreso. 
- Tutto qua? E che dovrei fare con Sandro a parte dirglielo subito? 
Simon andò verso le camere, ma si fermò sulla soglia della porta e si girò con un sorrisino divertito: 
- Lo sai già, andrai bene. 
- Improvvisamente vado bene? Prima era ‘perché non sono venuto subito’ ed ora... 
Simon rise. 
- Adesso venendo prima da me invece di buttarti a capofitto senza pensarci, hai dimostrato di essere finalmente cresciuto! Te la caverai! Basta che lo fai senza rimandare ancora o ti diseredo! 
Così dicendo, andò alle camere ad aiutare Elina a svegliare le bestioline. Al suo ritorno Theo non c’era, ma Simon non se ne stupì. Al suo posto un biglietto con un ‘grazie Due’ ed un cuoricino. 


Sandro non aveva dormito niente, si guardò le occhiaie profonde e nere sotto gli occhi rossi e gonfi e sbuffò imprecando. 
- Mi beccherà subito! - si disse riferendosi al pianto che l’aveva ridotto così e gettandosi l’acqua fredda in faccia. Si svegliò meglio, non che avesse dormito, ma gli occhi continuarono ad essere gonfi e rossi e le occhiaie ben nere. 
Decise di lasciar perdere, tanto si stavano per lasciare, perciò era inutile mascherare una crisi che era già in atto. 
Si preparò di malavoglia per l’allenamento mattutino delle 9, era in abbondante anticipo perché alle 7.15 si era arreso al letto e si era alzato, ma magari sarebbe arrivato prima a Milanello e avrebbe fatto un po’ di palestra per sfogarsi o svegliarsi. 
Si vestì come al solito, sportivo e comodo consapevole che poi si sarebbe cambiato di nuovo, ma rabbrividì e si mise un’altra maglia addosso. 
Guardò la cucina con una smorfia, come se fosse la nemica numero uno e pensando di prendere un caffè al bar di Milanello, si mise gli occhiali scuri nonostante le nubi in cielo; prese chiavi, telefono e porta-documenti e mentre se li infilava in tasca, prese la giacca aprendo contemporaneamente la porta. Una volta lì rimase bloccato spalancando gli occhi che gli fecero male nonostante le lenti scure.
Theo era fermo e pareva essere lì da un po’, ma non per quello intenzionato a suonare il campanello. 
Aveva un’aria funerea, ma non fu quella che gli fece capire il motivo della sua visita, bensì il fatto stesso che ci fosse. 
Non si incontravano mai di mattina prima degli allenamenti, o dormivano direttamente insieme, o si vedevano a Milanello. 
Sandro si morse il labbro iniziando a tremare, gli sfuggì la giacca di mano che cadde, la recuperò di riflesso ma gli cadde il cellulare e le chiavi, così imprecando stava per chinarsi a raccogliere anche quelle, quando Theo lo prese per il braccio e lo fermò raddrizzandolo. Con calma si chinò al suo posto e recuperò tutto, poi senza dire nulla entrò chiudendosi la porta alle spalle. 
Sandro rimase appoggiato con una mano alla parete d’ingresso, la punta del piede a battere nervoso dietro di sé, la bocca ancora nella morsa dei denti. 
Theo posò le sue cose in parte, poi si girò verso di lui, lo guardò, sospirò e con una delicatezza infinita gli andò davanti e gli prese gli occhiali sfilandoglieli.
“Non voglio, ti prego, non voglio. Dovrei lottare, ma non ne ho le forze. Ti prego, non farlo.”

Sandro piangeva, ma i suoi occhi rivelavano che aveva già pianto tutta la notte e che non aveva dormito niente. Aveva le occhiaie più brutte mai viste. 
Sospirò ancora mentre un dispiacere sincero lo dilaniava da dentro. 
Se solo avesse avuto un potere, avrebbe scelto di poter cancellare il suo dolore. Tornando indietro avrebbe fatto tutto diversamente, in modo da non far soffrire Sandro. 
Fu a quel punto che Sandro lo sorprese dimostrando una volta di più quanta forza in realtà avesse. 
- Non rimpiango niente. - disse Sandro tremando eppure fermo al tempo stesso. Si sforzava di non singhiozzare per riuscire a parlare, perciò eseguiva profondi respiri fra una frase e l’altra, si prendeva delle pause per piangere e poi riprendeva.
- Se tornassi indietro, - mormorò, le lacrime sul suo viso aumentarono: - rifarei tutto. - un’altra pausa. - Perché mi pentirei solo di non aver vissuto questo splendido mese con te, - un respiro. - anche se ha avuto significati diversi. 
Theo ne era consapevole quanto lui, ma sentendogli che nonostante il dolore che stava provando avrebbe voluto vivere tutto comunque, gli diede sollievo e senza dire nulla gli prese il viso fra le mani e tentò di asciugargli le lacrime, ma vedendo che era impossibile perché ne scendevano di continuo, gli baciò la fronte per poi, semplicemente, abbracciarlo forte. 
Lo strinse a sé e Sandro nascose il viso contro il suo collo, si aggrappò a lui e rimase lì a piangere e singhiozzare senza dire altro. 
- Grazie, Sandro. Ti devo molto, non sai quanto. Spero di poter ricambiare, un giorno, perché senza di te non sarei uscito mai da questo inferno. Però meriti una persona che ti ami così come la ami tu. Io ti voglio un bene dell’anima, ma non ti posso amare. Potrai mai perdonarmi? 
Sandro rimase nascosto fra le sue braccia per un po’ e solo quando i singhiozzi calarono, scosse il capo e senza emergere, rispose: - Non hai niente da farti perdonare. Sono io che devo ringraziarti per avermi regalato questo bel sogno. Ti chiedo solo... - esitò e Theo pensando non avesse il coraggio di chiederglielo, gli prese il viso di nuovo per guardarlo negli occhi. 
- Cosa? 
Sandro inghiottì, prese un bel respiro e proseguì: - Non allontanarti da me, non smettere di essere te stesso con me. Riprendiamo da dove eravamo. Ho bisogno che tu sia assolutamente sempre te stesso con me. 
Theo sorrise dolcemente ed annuì. Quello poteva farlo, specie se glielo chiedeva con quello sguardo implorante, così dolce. 
- Non ho scelta, è impossibile per me essere diverso! 
Sandro fece un sorriso faticoso, ma annuì e ringraziò tornando ad appoggiare la testa sulla sua spalla, contro il suo collo. Theo gliela baciò e lo cullò tenendolo a sé finché non lo sentì respirare di nuovo regolare ed il suo corpo non smise di tremare fra le sue braccia. 
In qualche modo l’amava comunque solo che amava più Daniel. 


Era come cavarsi un dente a freddo. 
Fra il pensare di dirglielo ed il farlo era davvero un abisso e non solo. 
Daniel non aveva mai avuto dubbi sul fatto di voler dire a suo padre della sua omosessualità, ma di certo trovarsi al dunque era diverso. Specie perché gli doveva anche dire che era Theo il suo ragazzo. In realtà era più sereno nel dirgli che era lui visto che sapeva era il suo pupillo. Suo padre lo adorava e probabilmente non ci sarebbero stati problemi.
Dopo aver fatto e disfatto mille scenari, decise di presentarsi da lui durante una delle incursioni a Milano trascinandosi Theo.
Erano andati ai suoi uffici a Casa Milan in uno dei lunedì liberi e l’aveva lasciato fuori dalla porta dicendogli di entrare quando l’avrebbe chiamato.
Saperlo lì gli dava conforto, sebbene volesse dirlo lui da solo. 

Daniel inghiottì a vuoto come se avesse un boccone grosso e pesante da mandar giù, quando Paolo lo vide con quella faccia da chiaramente ‘ne ho fatta una’, si raggelò al punto da troncare malamente la conversazione. 
“Oh Dio cosa gli è successo?”
Non riusciva nemmeno a figurare una cosa così grave da giustificare il suo arrivo a sorpresa nel suo ufficio, in sede. 
Sicuramente qualcosa di serio e grave che riguardava il calcio, ma cosa poteva essere? 
Paolo vagliò velocissimo tutte le opzioni, una peggiore dell’altra. 

- Papà, hai un momento? - fece tenendo la porta aperta. Diede un’occhiata veloce per controllare che Theo fosse lì, gli fece l’occhiolino e così avanzò portandosi davanti alla scrivania. 
- Certo, per te sempre. Che è successo? Non pensavo di vederti qua, potevi chiamarmi, ci saremmo visti a pranzo... 
Daniel davvero non aveva idea di come dirlo, sapeva solo che più aspettava, più era peggio, così semplicemente decise di estrarre il famoso dente a freddo ed in modo brutale. Era giovane e diretto, nessuno si aspettava che imparasse la diplomazia in così poco tempo. 
- No devo dirti una cosa importante, solo che se rimando ancora, muoio. 

Non la migliore delle premesse. A Paolo iniziò a contorcersi la bocca dello stomaco al punto che pensò fosse il principio di un infarto. 

Per Daniel quell’infarto era già in atto, ma lo teneva a bada abbastanza bene, tutto sommato. Insomma, non era ancora svenuto. 

- Ti ascolto... - disse faticando a non tremare con la voce. Rimase seduto perché le gambe al momento erano impossibilitate a svolgere la loro funzione. 
“Ha trovato un giro di doping. Gli hanno dato qualcosa che non sapeva cos’era ed è stato beccato e lo espelleranno... Dio ma cosa può essere? Cazzo, non dirmi che ha mandato a cagare Gotti! Mica gli ha dato un pugno? No aspetta, Gotti non allena più lo Spezia... col nuovo mi sembra andare d’accordo... che cazzo ha fatto?”
Daniel prese un enorme respiro e pallido come un cadavere nonché teso allo stesso modo, disse: - Papà, - il cuore di Paolo ebbe un doloroso fremito: - sono gay. - concluse. 
Lì il cuore si fermò, ma senza infarti e dolori. 
Semplicemente si rilassò. Lui e tutti i suoi organi interni. 
Paolo sospirò capendo di cosa si trattava e si chiuse per un momento il viso fra le mani sentendosi svenire nello scioglimento improvviso della tensione. 
- Cazzo Dani... 

Daniel, fraintendendo completamente la sua reazione e pensando che la stesse prendendo male invece che bene, cominciò a sparare a raffica tutte le parole che gli vennero in mente con una tale agitazione che per poco non scoppiò a piangere.
- L’ho capito da un po’, non è una fase, ne sono sicuro anche se in realtà non è che sono proprio gay, perché mi sono preso tantissimo da un ragazzo ed ora lo amo, ma non vado con tutti, non mi piacciono tutti e resto una persona con la testa sulle spalle. Però dopo un sacco di difficoltà ho capito che lo amo e per me è importante lui ed è importante che tu lo sappia e lo conosca. Cioè già lo conosci, vedrai che ti piace, non voglio che cambi pensiero su di noi e soprattutto che te la prendi con lui, promettimi che... oh Dio, vieni fuori! 
Implorò Daniel sentendo che le famose lacrime ora erano belle che uscite e gli inondavano il viso.

Paolo spalancò gli occhi shoccato dalla sua reazione, incapace di fermarlo e rassicurarlo e mentre cercava di capire come fare, Daniel si girò verso la porta aperta da cui non entrò nessuno.
Si fermò e così Paolo si alzò per approfittare e abbracciare e tranquillizzare suo figlio nel panico. 
Un panico sospeso. 
- Ehi! - sbraitò Daniel isterico con gli occhi fuori dalle orbite vedendo che non entrava. 
Paolo per un momento realizzò che era vero. Aspettava sul serio qualcuno. 
“Oh Dio ha un ragazzo per davvero! Il mio bambino ha il fidanzato!”
Fatto, questo, molto più grave dell’essere gay. 
Allungò una mano per toccargli il braccio, ma gli sfuggì perché Daniel, vedendo che non entrava nessuno, si affacciò fuori e solo quando vide il vuoto assoluto, gridò finalmente il suo nome. 
- THEO?! - incredulo oltre che fortemente allucinato. 
Stessa identica reazione che invase Paolo che quando realizzò di chi si trattava, si appoggiò alla scrivania dietro di sé prendendosi con la mano il petto che tornò a dolergli. 
- È THEO IL TUO RAGAZZO?! 


Note: è stato fottutamente triste scrivere la parte con Sandro, specie perché in quel periodo ero presissima da quella ship (e nel mio cuore stanno ancora insieme). Comunque poi ho riso come un'idiota a scrivere la parte con Paolo e Daniel, me l'immaginavo troppo mentre scrivevo. Scusate come sempre per il ritardo con cui pubblico ma lavorando su turni a volte proprio non ho facoltà mentali per correggere e postare. Ormai siamo alla fine, il prossimo infatti è l'ultimo capitolo e dopo ci sarà una fic conclusiva non molto lunga. Per quando va via anche Theo dal Milan forse la finisco di pubblicare tutta la serie. No, non credo. Ma non importa. I cicli si chiudono sempre prima o poi, è giusto così. Alla prossima. Baci Akane